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SECONDA PUNTATA

Il fascino delle affiche

A Londra, durante un’asta del 1918, fu venduta per quasi 62.000 sterline una affiche pubblicitaria del 1912. L’oggetto di tanto desiderio? Una pubblicità per il viaggio di ritorno del Titanic che, come sappiamo, purtroppo non è mai avvenuto. Un raro oggetto da collezione, soprattutto da quando in seguito all’affondamento del transatlantico, la White Star Line aveva distrutto questi poster. Questo è solo un esempio di come alcuni manifesti pubblicitari, siano diventati oggetti storici di valore facendo da testimoni agli sconvolgimenti della società.

I francesi dicono che il primo a far affiggere un annuncio fu il re Francesco I, ma è solo con la Rivoluzione francese, e soprattutto nel XIX° secolo che il manifesto pubblicitario va a gonfie vele. L’industrializzazione e l’aumento della produzione permette un’offerta che venga incontro a una grande domanda e si possono promuovere prodotti che ora sono fabbricati in serie. Un’altra innovazione: l’evoluzione delle tecniche di riproduzione, e in particolare la creazione della litografia, ha rivoluzionato la qualità delle affiches. Dal 1866, Jules Chéret, pittore e litografo francese, intraprese lo sviluppo di grandi manifesti illustrati a colori e diede un vero impulso al formato. I manifesti a quel punto non si accontentano più di informare, ma vogliono sedurre. Il testo non è più semplicemente informativo, ma diventa un elemento estetico con valore a sé stante. I caratteri della scrittura divengono elementi di disegno e stile. Noi italiani già ci sentiamo antesignani di uno dei primi caratteri per insegne pubblicitarie “l’italienne” 1821.

Ma fu proprio durante la Belle Epoque (1880-1914) che la Francia, e in particolare la capitale, visse una vera e propria “affichemania”: colonne di Morris, muri, recinzioni, furono ricoperte di manifesti di ogni genere. La legge del 29 luglio 1881 proclama l’assoluta libertà di affissione. Era l’epoca d’oro dei cabaret (Le chat noir aprì i battenti nel 1881, e la sua affiche più famosa è di Steinlen 1896, il Moulin Rouge aprì nel 1889) e dei caffè da concerto (Folies Bergère), simboli dell’ottimismo e del positivismo che regnano nella società. I manifesti fanno da eco a questo periodo ricco di intrattenimento e svago. Nel 1892, Toulouse Lautrec disegnò il poster “Moulin Rouge – La Goulue”, con quasi 3.000 copie stampate.

Per Toulouse Lautrec, disegnare un’affiche era un impegno serio, tanto quanto dipingere un quadro.

Le sue affiches inventano e inaugurano l’arte di strada. Intingono la pubblicità della ‘schietta’ vita cittadina. E ci ricordano che il manifesto pubblicitario è una forma comunicativa nata per interpellare e richiedere opinioni. Un gesto che presume interesse e rispetto sinceri, autentici per il passante. E che richiede coraggio. Lo stesso che si trova  in tutte le opere di Lautrec. Che sfidano l’esistente, il diffuso, sacrificano il conformismo, combattono ipocrisie e portano una voce diversa.

Ai clienti inserzionisti  il messaggio è chiaro: bisogna essere decisi!

Alphonse Mucha, punta di diamante dello stile Art Nouveau, disegnerà la star dell’epoca, Sarah Bernhardt. L’artista non si sminuisce se illustra qualcosa di fuggevole.

Durante la prima guerra mondiale, il poster servì a motivare le retrovie e a nascondere gli orrori del conflitto. I francesi sono incoraggiati a finanziare lo sforzo bellico, a mantenere il morale, a “seminare patate per i soldati” … La propaganda di guerra sta vivendo i suoi momenti migliori. Questa tendenza continuerà fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando assisteremo a un vero e proprio boom dei manifesti, simbolo della società dei consumi dei Trenta Gloriosi Anni, e della liberazione della morale. In Francia, Raymond Savignac impone il suo stile: semplicità grafica e un tocco di umorismo che renderanno vincenti le campagne pubblicitarie di BIC, ASPRO o addirittura MONSAVON.

Nel 1972 fu inaugurato il Museo delle affiches di Parigi. Ma la rivoluzione mediatica avviata dalla televisione e dalla radio ha ridotto l’importanza data ai manifesti, che ora sono l’estensione delle campagne multimediali, e non più una creazione in sé. La fotografia ha avuto la precedenza sul disegno e ha raggiunto il suo apice nel 1980, in particolare sotto la guida di Jean-Paul Goude. 

Lo sconvolgimento digitale degli anni 2000 non ha mancato di avere un impatto anche sulla pubblicità display. I progettisti delle smart city di domani stanno già progettando l’integrazione di display personalizzati e mirati sulla base dei dati raccolti da ogni passante. 

Siamo dunque arrivati alla fine dei manifesti come li conoscevamo? 

Finché la forza delle campagne sta nel messaggio e non nella profilazione ossessiva dei media digitali, c’è ancora spazio per comunicazioni on line e off-line. La missione degli operatori nell’ambito della comunicazione, non dovrebbe essere l’analisi dei big data per inviare inserzioni push al momento giusto, ma quella di creare un dialogo con l’osservatore, concedendogli la libertà di poter sviluppare un giudizio critico e personale.

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